lunedì 14 febbraio 2011

PINOCCHIO IMPARA (ovvero la pedagogia di GEPPETTO) di Mariaserena Peterlin

Geppetto vende la casacca e compra il testo scolastico: l'Abbecedario, ma  Pinocchio non impara dai libri....
Dopo aver mandato al diavolo il Grillo Parlante ed averlo spiaccicato al muro, con un gestaccio di cui riparleremo, all’indisciplinato Pinocchio capitano una serie di piccole avventure che gli dovrebbero servire da ammaestramento.
Ha fame, cerca di farsi una frittata ma dall’uovo appena rotto scappa fuori un pulcino “tutto allegro e complimentoso”; allora esce per elemosinare del pane, ma disturba un vicino e si becca “una enorme catinellata d’acqua che lo innaffiò tutto dalla testa ai piedi”; infine va  ad asciugarsi, ma si mette troppo vicino al fuoco per cui, addormentatosi, si sveglierà coi piedi bruciati.
Difficile immaginare una punizione più frustrante per chi, come lui, è born to run
Geppetto torna a casa e Pinocchio gli fa un affannoso resoconto interrotto solo da lacrime e singhiozzi. Leggiamo dunque (o ri-leggiamo per chi conosce bene il libro) cosa accade subito dopo proponendoci come chiave di lettura una particolare attenzione alla saggezza amorevole e pedagogica di Geppetto.

Geppetto, che di tutto quel discorso arruffato aveva capito una sola cosa, cioè che il burattino sentiva morirsi dalla gran fame, tirò fuori di tasca tre pere, e porgendogliele, disse:

le tre pere
— Queste tre pere erano la mia colazione: ma io te le do volentieri. Mangiale, e buon pro ti faccia.
— Se volete che le mangi, fatemi il piacere di sbucciarle.
— Sbucciarle? — replicò Geppetto meravigliato. — Non avrei mai creduto, ragazzo mio, che tu fossi cosí boccuccia e cosí schizzinoso di palato. Male! In questo mondo, fin da bambini, bisogna avvezzarsi abboccati e a saper mangiar di tutto, perché non si sa mai quel che ci può capitare. I casi son tanti!... 
— Voi direte bene — soggiunse Pinocchio — ma io non mangerò mai una frutta, che non sia sbucciata. Le bucce non le posso soffrire. — 

E quel buon uomo di Geppetto, cavato fuori un coltellino, e armatosi di santa pazienza, sbucciò le tre pere, e pose tutte le bucce sopra un angolo della tavola.
Quando Pinocchio in due bocconi ebbe mangiata la prima pera, fece l’atto di buttar via il torsolo: ma Geppetto gli trattenne il braccio, dicendogli:

— Non lo buttar via: tutto in questo mondo può far comodo.
— Ma io il torsolo non lo mangio davvero!... — gridò il burattino, rivoltandosi come una vipera.
— Chi lo sa! I casi son tanti!... — ripeté Geppetto, senza riscaldarsi.

Fatto sta che i tre torsoli, invece di esser gettati fuori dalla finestra, vennero posati sull’angolo della tavola in compagnia delle bucce.
Mangiate o, per dir meglio, divorate le tre pere, Pinocchio fece un lunghissimo sbadiglio e disse piagnucolando:

— Ho dell’altra fame!
 I tre torsoli e le tre bucce
— Ma io, ragazzo mio, non ho piú nulla da darti.
— Proprio nulla, nulla?
— Ci avrei soltanto queste bucce e questi torsoli di pera.
— Pazienza! — disse Pinocchio, — se non c’è altro, mangerò una buccia. —

E cominciò a masticare. Da principio storse un po’ la bocca: ma poi una dietro l’altra, spolverò in un soffio tutte le bucce: e dopo le bucce anche i torsoli, e quand’ebbe finito di mangiare ogni cosa, si batté tutto contento le mani sul corpo, e disse gongolando:

— Ora sí che sto bene!
— Vedi dunque — osservò Geppetto — che avevo ragione io quando ti dicevo che non bisogna avvezzarsi né troppo sofistici né troppo delicati di palato. Caro mio, non si sa mai quel che ci può capitare in questo mondo. I casi son tanti!!... —

Sono in gioco tre pere, tre bucce, tre torsoli. Ma anche il dialogo, tolte le due battute conclusive che non fanno parte della fase dialettica (o meglio dire della contrapposizione tra i due personaggi attraverso la quale Pinocchio matura la sua decisione e si convince delle giuste ragioni di Geppetto) si svolge in tre parti che la trascrizione con il colore sottolinea.
Le triplici corrispondenze mantengono un equilibrio nella narrazione, e sottolineano come un convincimento non nasca da un ordine imposto, bensì da un percorso personale che matura e di cui ogni tappa importante in sé.
Nessuno di noi, infatti, impara o acquisisce una esperienza di crescita attraverso una scoperta folgorante, o un lungo (seppur giudizioso) predicozzo in stile Grillo Parlante.
Impariamo invece con l’esperienza vissuta, amorevolmente supportata e guidata da chi riconosciamo come maestro (ad esempio un genitore oppure un insegnante di cui riconosciamo l’autorevolezza).
C’è poco da fare di fronte all’evidenza: Geppetto cedendo a Pinocchio il suo modestissimo pasto  resta digiuno, ma sa quel che fa, ed è consapevole che questa volta il suo insegnamento non può fallire. Anche chi insegna paga il suo prezzo.
Collodi fa della figura di Geppetto quella di un adulto che è esempio della saggezza amorevole e pedagogica che sa insegnare ai ragazzi anche la libertà.
Da quel tipo di saggezza si apprende davvero, senza violenze né prevaricazioni, magari pagando anche un costo personale, ma illuminati da uno sguardo lungimirante che ci indica la strada. 
Caro mio, non si sa mai quel che ci può capitare in questo mondo. I casi son tanti!!...

È infatti una frase bella, detta condividendo e non giudicando.

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